
Qualche giorno fa, in mezzo alla strada, un uomo su una bicicletta trainava un carretto fatto interamente a mano. Era tutto storto, costruito alla buona, evidentemente con materiali di recupero. Eppure, proprio quella sua imperfezione mi ha colpito come un pugno al petto. Ho sentito, in quel momento, qualcosa che non sentivo da tempo: la bellezza di ciò che è autentico. Quel carretto non era “a norma”, non era perfetto. Ma in quella sua imperfezione c’era qualcosa che oggi si è perso. C’erano le ore passate a costruirlo, i chiodi battuti uno a uno e soprattutto, il tempo dedicato al fare. C’era la gioia semplice e vera di creare qualcosa con le proprie mani. E mi sono reso conto che molte persone hanno totalmente smarrito quel senso lì. Poco dopo, mentre mangiavo un panino in un mercatino, ho sentito un uomo accanto a me guardare ogni tipo di Shorts: tra cui uno in cui un tizio aveva tagliato una Ferrari Testarossa a metà e l’aveva allungata di sei metri. Un’altra “impresa creativa”, certo, ma totalmente priva di senso, scollegata da qualsiasi necessità o verità. Una dimostrazione di potere, soldi e disconnessione dalla realtà. E allora mi sono chiesto: che cosa stanno facendo? Che senso ha quello che ormai la maggior parte delle persone fa? Ai tempi degli Shorts e dei milioni di canali Social, si fanno cose assurde senza un senso. Molte persone sono ormai spettatori immobili di follie altrui. Chi un tempo avrebbe costruito carretti — oggetti utili, nati per vivere davvero la materia — oggi è fermo davanti a uno schermo, a guardare video di altri che fanno cose sempre più inutili, sempre più costose, sempre più vuote. Con l'unico scopo dei numeri, delle statistiche. Si è invertito la direzione del fare. Certe persone non fanno cose per creare o per gioire del processo. Fanno per apparire, per stupire, per accumulare “visualizzazioni”. Eppure, il vero benessere è nel fare, nel costruire, nel toccare con mano ciò che prende forma. Anche se è imperfetto. Anzi: proprio perché è imperfetto. Perché porta con sé tracce di vita vissuta, di errori, di apprendimenti. E questo ha un valore enorme, molto più grande di qualsiasi perfezione asettica. Forse dovremmo reimparare a fare le cose “storte”. Come quel carretto artigianale, fuori misura eppure pieno di significato. Perché lì, in quell’irregolarità, c’è la vita.